sabato 27 febbraio 2010

Confronto senza estremi

a cura di Lorenzo Fazzini
29 gennaio 2010 - Avvenire
Oltre una laicità «neutra», per un’osmosi tra credenti e laici. Un opinionista non credente loda il ruolo sociale degli oratori, un teologo chiede al pensiero cristiano di far spazio agli atei. Giancarlo Bosetti e Piero Coda.

Giarcarlo Bosetti: «Cari laici, i campanili arricchiscono la società d’oggi»
La comunicazione tra credenti e laici è molto «disturbata» dalle strumentalizzazioni politiche della religione. Ne son responsabili quei laicisti incapaci di cogliere gli elementi socialmente arricchenti nelle tradizioni di fede, ad esempio la Chiesa in Italia. Giancarlo Bosetti, direttore della rivista Reset, radiografa così lo stato dell'arte nel Belpaese. E prende la Caritas in veritate come modello per il «cortile dei gentili» evocato da Benedetto XVI. Il suo libro «Il fallimento dei laici furiosi» (Rizzoli) ha rimproverato tale categoria perché «intolleranti».
Perché ripartire nel confronto?
«Perché questo dialogo è in pessime condizioni: siamo in una situazione di conflittualità esasperata per cui ogni divergenza "bioetica" si sviluppa in maniera incontrollata. E la politica accentua tale conflitto. Assistiamo al fenomeno inverso del 1984, quando sulla revisione del Concordato si ebbe una bella pagina dello Stato italiano con un voto favorevole a larghissima maggioranza»
Dove stanno i motivi della crisi?
«Da tutte e due le parti. Io mi sono occupato degli eccessi dei laici, così come Enzo Bianchi si è interessato degli eccessi opposti. Bianchi cristianamente scrive che l'anticlericalismo è spesso colpa del clericalismo: è un giudizio generoso verso i non credenti, io, dal mio osservatorio sui laici, vedo che la questione riguarda di più questi ultimi».
Lo scontro, a suo giudizio, imprigiona le migliori risorse del Paese.
«Non credo si possano eliminare i contrasti sulle questioni bioetiche. Queste divergenze non devono diventare un conflitto ultimativo. Le "liti" tra laici e cattolici avvengono perché surrogano vuoti ideologici. Io considero il forte contributo dei cattolici alla coesione sociale; invece molti laici parlano dell'elemento cattolico solo in termini negativi. Perché bisogna pensare ai preti unicamente in questo modo? I non credenti spesso vedono solo ingerenze della Chiesa e non ne considerano il ruolo sociale: come si fa a giudicare invadenti gli oratori quando si tratta di un elemento positivo per i giovani? Magari crescesse qualcosa di simile in ambito ebraico o centri di cultura cristiana ortodossa: sarebbero aggregazioni positive! Del resto il liberalismo va verso il pluralismo religioso, che è una visione per cui la presenza religiosa è da garantire nella sua espansione in quanto non considerata come qualcosa di stantio. La cultura laica italiana rimane ferma in un laicismo ottuso che considera il credere una superstizione tradizionalistica».
«Ripartire dalla Caritas in veritate». Perché questa sua attenzione all'enciclica del Papa?
«La Caritas in veritate è stata un contributo prezioso ma in Italia non a tutti il suo messaggio la persona prima dell'economia è arrivato. Non siamo capaci di inserire nell'agenda politica italiana il contributo sociale della Chiesa, che vien preso in considerazione solo se torna comodo a destra o a sinistra. Da noi espressioni come laicità "positiva" e "dialogante" sono rare. In passato non era così: da Berlinguer a Moro ai socialisti c'è stata un prolungato confronto tra credenti e non credenti».
Quale contributo vorrebbe di più dalla Chiesa?
«Il mondo cattolico fa passi in avanti verso le altre culture e religioni: vorrei che tutto ciò fosse più deciso. Mi piacerebbe che non ci fossero dei "stop and go" nel dialogo ecumenico e con i non credenti. Perché avvengono così tante fermate nel percorso con i musulmani? Sbaglia però chi definisce Ratzinger nemico dell'islam: basti ricordare la sua visita, nei primi tempi del suo pontificato, alla Moschea blu di Istanbul».

Piero Coda: «Purifichiamo la fede, nuovi linguaggi per dire Dio»
Mai Dio senza l'altro. Facendosi coinvolgere nei silenzi e parole dei non credenti. Perchè questa è l'economia della salvezza di Cristo. Piero Coda, presidente dell'Associazione teologica italiana , è «entusiasta» del «cortile dei gentili» quale metafora di quel confronto che l'attuale pontefice chiede con i non credenti.
Quale la dinamica di questo dialogo?
«Quando è condotto senza intenzionalità ideologiche, il dialogo chiede al credente una testimonianza coerente di vita e di intelligenza del Dio fattosi uomo in Gesù Cristo. Il Concilio afferma che c'è bisogno di una purificazione della fede: ciò significa liberarla dalle incrostazioni desuete accumulatesi nei secoli perché brilli oggi nella sua luce sempre attuale».
Quali le "incrostazioni" più urgenti da purificare?
«Penso a quanto Giovanni XXIII diceva nell'indire il Concilio, ovvero il concetto di aggiornamento: la sostanza della fede è immutabile, mentre il linguaggio che la esprime va plasmato sintonizzandosi sui segni dei tempi. Viviamo una situazione di epocale transizione culturale. Abbiamo ereditato una forma di chiesa radicata nel tardo Medioevo: la modernità, la società plurale, l'innovazione tecnologica, i movimenti migratori provocano la Chiesa a essere più plastica, affinché vi giochino il loro ruolo attivo tutti gli stati di vita. Urge far spazio a una coscienza cristianamente formata secondo il vangelo e la dottrina cristiana che penetri tutte le realtà antropologiche e sociali. Serve più spazio alla dimensione femminile. C'è bisogno insomma di più profezia come testimonianza della novità evangelica e come espressione di pluralità».
Il dibattito culturale è segnato dai "nuovi atei". Da essi vi sono contributi positivi al confronto tra laici e cristiani?
«Mi sembra che l'atteggiamento aggressivo di alcuni autori abbia caratteristiche diverse rispetto all'ateismo di forte convinzione e di fragile ideologia degli anni Sessanta. Tale atteggiamento, a mio parere, nasce da due prospettive: esiste un ritorno ideologico corrosivo, regressivo e non produttivo contro la tradizione cristiana; e c'è un disincanto per cui la testimonianza di Dio offerta dalla Chiesa non intercetta le domande più profonde. Vi è qui una richiesta ai credenti di maggior radicalità non solo esistenziale ma anche culturale. La cultura cristiana è a un punto cruciale: o si rifonda a partire dall'evento di Gesù Cristo morto e risorto, e vivo nella storia, oppure decade ed è emarginata. Il cristianesimo può offrire al mondo una nuovissima fioritura di sé. A un recente dibattito il filosofo della scienza Orlando Franceschelli, parlando della proposta cristiana, diceva: "Non ci siamo ancora detti il meglio". Dobbiamo trovare nuovi linguaggi, argomentazioni e concettualizzazioni per i nostri interlocutori: la loro attesa è così profonda che altrimenti resta delusa».
Come riuscire a dire Dio oggi?
«Non si può dire Dio senza l'altro. Non posso parlare di Dio senza che colui al quale mi rivolgo entri a determinare il mio dire. Sono chiamato ad ascoltare il silenzio, la parola e il grido dell'altro. Devo accogliere quel che lui mi dice, anche nella sua critica. Questo atteggiamento ha un fondamento teologico: il Dio di Gesù dice la sua Parola all'uomo al punto da farsi uomo, anzi il grido dell'uomo».
Cosa significa questo nel nostro contesto culturale?
«Ad esempio, non si può dire Dio senza quel che la scienza e le sue scoperte sull'universo ci comunicano. Dire Dio passa sempre attraverso una determinata concezione cosmologica. Dante ci ha parlato di Lui secondo la visione dell'universo del suo tempo. Oggi non siamo ancora capaci di questo. Già capire tale scommessa è un traguardo importante».